Articoli della redazione

 

Cosa ci insegnano le leggi di natura Hobbes

 

Alberto Sessa, redattore di Cronisti in Opera, intervista la Professoressa Francesca Pasquali, docente del corso di “Filosofia Politica” nel corso di laurea di “Scienze Politiche” presso l’Università degli Studi di Milano

 

 

  1. Quali insegnamenti arrivano dalla filosofia politica?

 

Si tratta di una domanda che richiederebbe una risposta molto articolata e da declinare a seconda di cosa si intende per “filosofia politica” e di come se ne concepiscono le finalità. Su quest’ultimo punto, così come sulla definizione di “filosofia politica”, non c’è accordo. Per provare a rispondere, credo sia utile puntualizzare che la filosofia politica può perseguire obbiettivi diversi.

Per un verso, la filosofia politica può concentrarsi sull’analisi concettuale e, quindi, perseguire l’obbiettivo di stabilire quale definizione sia più appropriata per espressioni e termini costitutivi del linguaggio politico. Così, per esempio, l’analisi filosofica può mirare a delineare i confini di concetti quali “libertà”, “giustizia”, “terrorismo” o “democrazia”. In questo modo, gli esiti dell’indagine filosofica permettono, sul piano pratico, di esaminare criticamente il discorso pubblico, evidenziandone eventuali ambiguità o sollevando dubbi circa l’appropriatezza delle affermazioni o delle rivendicazioni degli attori politici.

D’altra parte, la filosofia politica può mirare a fornire resoconti filosofici ed eventi politici o, anche, della politica stessa. Analisi filosofiche di questo tipo sono spesso utili ad acquisire una comprensione più approfondita di fenomeni complessi come quello del totalitarismo, analizzato – tra gli altri – da Hannah Arendt, o a capire meglio le dinamiche politiche alla luce delle caratteristiche distintive della sfera politica.

Inoltre, la filosofia politica può perseguire finalità normative, concentrandosi, per intenderci, non su come le istituzioni sono di fatto organizzate o sulle politiche sociali di fatto implementate, ma su come dovrebbero essere organizzate le istituzioni e su quali politiche sociali siano auspicabili, Quando la filosofia politica si muove all’interno della dimensione normativa mette a punto criteri o standard  di valutazione che possono essere adottati per giudicare ciò che si osserva – per esempio, per valutare se un certo regime politico sia o meno legittimo, se una certa legge sia giusta o meno – o per orientare le nostre scelte, le nostre decisioni circa i corsi d’azione da intraprendere o le riforme politiche da implementare.

Riassumendo, la filosofia politica può insegnare a – ovvero, può fornire strumenti per – analizzare in modo critico il dibattito pubblico, a guardare ai fenomeni e agli eventi politici in modo più sofisticato e a utilizzare criteri più affidabili per giudicare pratiche politiche o per decidere come agire politicamente. L’aspetto che, però, vale la pena di sottolineare è che qualunque concetto politico sia oggetto di indagine, qualunque evento o fenomeno sia sottoposto a esame filosofico e qualunque domanda normativa i filosofi politici si pongano, le conclusioni della loro riflessione non sono mai univoche. In effetti, quando ci si avvicina a un dibattito filosofico, si scopre immediatamente che sono in campo posizioni diverse e spesso inconciliabili. Il fatto che non vi sia accordo e che ci si renda facilmente conto che tutte le posizioni rilevanti hanno dei meriti, qualcuna più delle altre, ma sempre anche dei limiti può essere scoraggiante e frustrante. Eppure, ritengo che proprio facendo i conti con la pluralità delle posizioni e con la necessità di confrontarle si apprenda ciò che la filosofia politica -e la filosofia, più in generale – insegna: fare uso delle nostre capacità critiche e delle nostre capacità di giudizio. Per esempio, sapere che si può far coincidere la libertà con l’assenza di impedimenti esterni al moto (Hobbes) oppure con la capacità di sottrarsi ai dettami degli istinti naturali (Rousseau) può indurci a mettere in dubbio la nostra comprensione intuitiva della libertà, a renderla più raffinata, ad abbandonarla sostituendola con un’altra oppure a valutare criticamente le varie opzioni disponibili, considerandone anche le implicazioni pratiche e i risvolti politici, per individuare quella che ci convince di più e capire perché sia così. Credo che sia questo tipo di esercizio ciò che si impara dalla filosofia politica.

 

 

  1. Quanto sono attuali le leggi di Hobbes?

 

Credo che tutte le leggi di natura proposte da Hobbes siano da intendersi come specificazione di ciò che si deve fare o non fare per conformarsi alla prima legge di natura, che prescrive a ognuno di “cercare la pace, per quanto ha speranza di ottenerla”, di “utilizzare tutti gli aiuti e i vantaggi della guerra” (Leviatano, cap. XIV). Questa prima legge di natura, pur lasciando aperta la possibilità di esercitare il diritto a impiegare qualunque mezzo e strategia per difendersi nel caso la pace non sia possibile, presenta come razionale cercare la pace. Se si guarda alle leggi di natura più specifiche, a mio parere, si può argomentare che siano tutte volte a facilitare il raggiungimento di questo obiettivo o a mantenere la pace una volta ottenuta. Penso si possa mostrare che tutte le questioni, affrontate da Hobbes nel discutere le leggi di natura – dal perdono all’imparzialità dei giudici, dalla gratitudine all’equità – siano rilevanti rispetto alla pace.

In base a questa interpretazione, in un momento di elevata conflittualità – sul piano internazionale, come su quello interno – penso si possano ritenere “attuali” le leggi di natura di Hobbes per una duplice ragione. Da un lato, se riviste in modo da adeguarsi al contesto di applicazione, le leggi di natura di Hobbes possono essere utili a evidenziare i fattori che sottostanno ai diversi conflitti e, quindi, a individuare le dinamiche da disinnescare se si vuole mettere fine al conflitto. Dall’altro lato, penso che le leggi di natura di Hobbes rendano chiaro che la politica risponde a una logica internazionale, ovvero che la politica è contraddistinta dall’iterazione tra attori le cui strategie – scelte, decisioni, azioni – si influenzano reciprocamente. In questo senso, la seconda legge di natura, che prescrive di essere disponibili a rinunciare al diritto su tutto a condizione che anche gli altri lo siano (Leviatano, cap. XIV), è a mio parere esemplare, ma anche molte delle altre leggi di natura richiedono o implicano una qualche forma ti reciprocità (intesa, quest’ultima, senza alcuna connotazione di carattere morale convenzionale). Avere consapevolezza che la politica segue questo tipo di logica è, secondo me, funzionale a comprendere che, per porre fine in modo stabile a un conflitto, serve un impegno reciproco da parte di tutti gli attori coinvolti.

L’ultimo aspetto da sottolineare, per non fare di Hobbes un pacifista, è che le leggi di natura non prescrivono di ricercare ostinatamente la pace anche quando – date le strategie o le attitudini degli attori coinvolti, o date certe specifiche circostanze – è impossibile ottenerla. Quando un fine è irrealizzabile, dal punto di vista di Hobbes, è irrazionale perseguirlo. Così, se la pace è irrealizzabile, la prima legge di natura prescrive di fare tutto ciò che è necessario per difendersi, per preservare sé stessi. Ciò che intendo sottolineare con questo, non è che, per Hobbes, ognuno è legittimato a servirsi di qualunque mezzo, anche mezzi estremamente controversi, nel caso in cui la pace non sia possibile. Credo al contrario, che la prima legge di natura – e l’intera riflessione di Hobbes sulle cause del conflitto all’interno dello stato natura – sia un utile punto di riferimento per ragionare sulle condizioni che rendono possibile la pace. Sono condizioni, quelle che evidenzia Hobbes, piuttosto onerose, perché, almeno nella mia interpretazione, richiedono che tutti gli attori coinvolti – nessuno escluso – siano in grado di utilizzare correttamente la propria ragione, senza essere sviati dalle passioni, per comprendere che il conflitto, malgrado i vantaggi immediati che può comportare, è sempre – anche se, magari, solo sul lungo periodo – controproducente.

 

  1. Quali di queste leggi le sembra più trascurare lo standard?

 

Dato che, forse alla luce di un’interpretazione poco sofisticata ma che coglie secondo me il punto focale della riflessione hobbesiana, ritengo che tutte le leggi di natura siano riconducibili alla prima legge di natura, che evidenzia la razionalità di cercare la pace – ammesso che sia possibile – credo che, se si osserva il grado di conflittualità – tralasciando l’arena internazionale – che contraddistingue la vita politica anche all’interno dei regimi democratici, questa sia la legge più trascurata.

 

  1. Cosa potremmo fare noi per rendere queste leggi più applicabili?

 

Penso che la ricetta di Hobbes a questo proposito sia piuttosto semplice, ma di difficile applicazione. Se tutti gli individui fossero pienamente razionali, tutti avrebbero accesso alle leggi di natura e potrebbero tutti comprendere quanto sia vantaggioso seguirle, quali vantaggi si ricevono dall’applicarle sia nel decidere come agire sul piano individuale sia nel predisporre, in modo collettivo, le istituzioni politiche. Eppure, naturalmente, gli individui – e Hobbes lo sa benissimo e lo enfatizza a più riprese – non sono esseri puramente razionali. Sono capaci di ragionamento, hanno la capacità di svolgere correttamente calcoli costi-benefici, ovvero di individuare i corsi d’azione più vantaggiosi ed evitare quelli che risultano più controproducenti. Tutti sono dotati di queste capacità ma, in linea di principio, è sufficiente che un singolo individuo non utilizzi correttamente la propria ragione per introdurre nel ragionamento di ognuno una variabile non controllabile e non prevedibile che fa saltare il calcolo costi-benefici oppure, in modo più rilevante per Hobbes, per rendere poco vantaggioso seguire le leggi di natura e questo, a mio parere e in un’ottica prudenziale come quella adottata da Hobbes, chiarisce perché, nei fatti, queste leggi non siano seguite o non siano applicate in modo costante e stabile.

La ricetta Hobbesiana, che funziona solo in teoria, è che tutti gli individui siano pienamente razionali. Questo garantirebbe il pieno rispetto delle leggi di natura. Naturalmente, Hobbes non è tanto ingenuo da proporre questa soluzione e sarebbe una soluzione impraticabile e probabilmente non auspicabile. Non solo è implausibile aspettarsi che gli individui siano sempre pienamente razionali – nei termini della razionalità strumentale – ma è anche plausibile ritenere che pretendere che lo siano sarebbe un’imposizione impropria, troppo onerosa o in contrasto con la natura umana stessa. Eppure, anche in questo caso, il riferimento a Hobbes è utile per chiarire cosa renda difficile una piena applicazione delle leggi naturali e quali condizioni sarebbero possibili, invece, in pieno rispetto di tali leggi. In altri termini, Hobbes suggerisce che, affinché sia sensato seguire le leggi di natura, si deve essere tutti razionali. Anche se questa piena razionalità non è possibile o non è desiderabile, può essere comunque intesa come un ideale cui tendere, che ci dà qualche spunto su come dovremmo provare a ragionare.

 

  1. Quale costituzione al mondo secondo lei ha più applicato le leggi di Hobbes?

Purtroppo, a questa domanda non so davvero rispondere

 

*****************************************************

Quei versi che scaldano il cuore

Camilla Savarè

 

Non so se Angelo abbia mai scritto prima una poesia: certo in questa ha messo tanto cuore e tanto sé stesso. È significativo che abbia scelto di sostituire l’ipotetico ’se’ di Kipling con un ben più connotato ’sii’ esortativo, che esprime chiaramente la componente di forte emotività dello scrivente.

Il lungo lavoro di scavo che ha operato sulla parola forse ha coinciso con una chirurgica discesa in sé stesso: non è importante se il risultato corrisponde al modello, è importante che si accetti la sfida a lavorare sul proprio io, sul pensiero, sulla ricerca di armonia e di sintesi tra ciò che gli altri percepiscono e quello che si è o si vorrebbe essere. Angelo ha fatto la sua scelta personale, in cui la ricerca delle parole è diventata importante come il contenuto. La sua poesia lascia spazio ad aspetti espressivi e immaginativi, che sono suoi, ma che hanno assunto carattere universale ed evocativo se molti suoi compagni l’hanno condivisa, sentendo il desiderio di donarla a i propri figli. Angelo, infatti, l’ha creata per sua figlia: è stato il suo commovente dono di Natale.

La proponiamo come è stata scritta, augurandoci che il lettore, cogliendo la sua connotazione evocativa, assuma un ruolo attivo, facendola propria e che stimoli una riflessione sul rapporto tra chi è in carcere e le opere letterarie, in particolare quelle poetiche.

 

“Amore di Papà…”

Angelo C.

 

-Sii… come l’acqua che spegne le fiamme e fluisce inesorabile tra le rocce che incontra.

-Sii… una foglia che volteggia nell’aria anche in balia della peggiore tempesta.

-Sii… il silenzio della notte a fronte del frastuono del giorno.

-Sii… una lucciola che pulsando nel buio anima l’imbrunire.

-Sii… splendente di luce propria sul cammino che percorri, e un faro sempre acceso per coloro che vagano nell’oscurità.

-Sii… una stella pronta a brillare quando altre hanno smesso di farlo.

-Sii… raggiante come il sole per scaldare il cuore di chi è angosciato dalla malinconia.

-Sii… nella vita una sinfonia composta solo di note scritte con amore.

-Sii… consapevole che nell’ordine proprio di ogni cosa manifesta o ancora da venire la matrice è la stessa.

-Sii… lo stupore negli occhi di un bambino che sorride e si emoziona per un gioco fatto insieme a mamma e papà.

-Sii… la fermezza della più alta montagna che si scorge da lontano e resta solida anche quando sperde qualche roccia.

-Sii… la fierezza di una madre quando porta al mondo una nuova vita.

-Sii… la tartaruga che si muove lenta verso l’orizzonte scintillante e allo stesso tempo una gazzella che corre verso l’infinito.

-Sii… la musica angelica di un violino che inebria i nostri cuori.

-Sii… una singola nota accordata che risuona nell’eternità,

piuttosto che un intero spartito disarmonico che svanisce come la memoria di un pesce rosso in 9 secondi.

-Ma, più di ogni cosa, sii sempre te stessa.

Mercoledì 13.12.23